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9/24/2010

Il diritto dei ricchi

Il brano L' anima e i beni

Ai ricchi spetta solo il diritto all' uso


S econdo il giure romano, tutto il territorio dell' impero apparteneva direttamente all' Imperatore. Anziché diritto naturale, la proprietà privata era diritto acquisito dal favore del despota, che poteva in via di diritto dividerla tra i cittadini, o spogliarneli a suo piacimento. Nel criterio cristiano, la cosa è ben diversa. Il mondo fatto dal niente è, con tutto ciò che contiene, di proprietà divina; ma le cose, prive di ragione, furono fatte appositamente per l' uomo, e il Creatore tutte gliele commise perché, trafficando questo dono saturo di risorse, ne cavasse quanto gli abbisognasse a mantener la vita e a sviluppare le sue facoltà di essere intelligente. Piacque alla Divina Provvidenza che, pur avendo tutti gli uomini diritto alla proprietà (ovvero diritto di disporre secondo le proprie rette tendenze psichiche e sensitive), la misura non fosse per tutti categoricamente uguale e corrispondente con esattezza ai bisogni singoli, ma dipendesse dalle individuali attitudini e dalle altre circostanze di cui è intessuta la vita quotidiana. Alcuni tra gli uomini possono legittimamente oltrepassare nei loro averi i propri personali bisogni, senza perciò sconfinare dalle orme del diritto, ché diritto è capacità, potestà legittima, e non numero. Ma qui entra in campo la morale cristiana, e quindi la dottrina del Crisostomo: coloro che nel rendimento delle loro proprietà hanno un margine fuori del proprio naturale bisogno, devono ricordarsi che la proprietà, venendo da Dio, non fu consegnata a loro indipendentemente dai bisogni dei loro consimili, i quali, essendo uomini al par di loro, non hanno minor diritto ai mezzi di sussistenza. Afferma il Crisostomo che «le ricchezze sono un bene per colui che le possiede quando non le spende nelle delizie, nell' ebbrietà e al servizio delle passioni ma, godendone lui stesso moderatamente, il resto lo distribuisce tra i poveri». Su questi - chiamiamoli pure fortunati - grava l' incarico di tener le veci di Dio nel dispensare i frutti, cosicché secondo il loro diritto naturale tutti possano soddisfare le personali ragionevoli esigenze. Tali ministri della Divina Provvidenza sono, o dovrebbero essere, come vuole il Crisostomo, i cosiddetti ricchi. La divina padronanza e la natura umana sono dunque i due veri e soli termini sui quali poggiano i doveri dei ricchi e i diritti dei poveri. Tutto ciò che il ricco possiede non è suo ma dell' unico Padrone, Toû despótou, il «Padrone» per antonomasia, dice il Crisostomo, parlando di Dio senza aggiungervi altri nomi. Non può quindi il ricco disporre arbitrariamente come di cosa propria dei suoi beni senza infrangere un preciso diritto divino e tradire una specifica missione, di cui il Padrone assoluto l' ha incaricato conferendogliene i mezzi. «Allo stesso modo, infatti, che se un esattore, il quale ha ricevuto denari dal re, trascurando di darli a coloro cui gli era stato comandato, li consumasse nei propri capricci, sarebbe severamente punito anche con la morte, così avverrà del ricco che è il depositario delle ricchezze destinate ai poveri (...). Per quanto tu sia ricco, se consumerai per te oltre il conveniente, dovrai render conto del denaro che ti fu consegnato». Tra tutte le irrazionalità, questa sembra al Crisostomo tra le più obbrobriose: un ricco che solo per sé detiene i beni. Un simile peccatore viene paragonato a una quercia, la quale non dà che ghiande per i porci. È una pianta senza frutti, «un uomo senza le opere di uomo». La proprietà dei ricchi è dunque relativa, in quanto essi, più che padroni, sono gestori e dispensatori dei propri beni. «Quel mio e tuo sono semplici parole. Se tu dicessi che la casa è tua, diresti una parola vuota. Infatti e l' aria e la terra e la materia sono del Creatore; tu stesso che l' hai fabbricata, appartieni a Lui. Se ne hai l' uso, esso è pure instabile (...). Poiché dunque le ricchezze non son nostre, ma di Dio, dobbiamo elargirle ai nostri conservi». Non che venga qui infirmato il diritto a possedere; anzi, ricondotto alla sua vera origine, esso viene confermato, legittimato e potenziato in quanto riconosciuto come partecipazione all' unica divina padronanza, e inserito come parte sensibile nel piano dell' invisibile governo divino del mondo. È piuttosto il comune concetto sul diritto dell' uso a subire una grave riforma. RIPRODUZIONE RISERVATA Il santo
VERZÉ LUIGI MARIA

Dalle pagine del corriere della sera
http://archiviostorico.corriere.it/2009/novembre/24/ricchi_spetta_solo_diritto_all_co_9_091124069.shtml

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